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Nel profondo nord della Serbia c’è una piccola e graziosissima città con un nome Disneyano: Kikinda. Questo luogo, ai più sconosciuto, ogni inverno diventa protagonista di un fenomeno unico e forse inspiegabile. Centinaia di gufi, in una sorta di transumanza che si ripete anno dopo anno, arrivano a guarnire gli alberi del centro, quasi ad assumere le sembianze di pigne molto grosse, adottandolo come loro casa fino al finire del freddo e rigido inverno.
Quest’anno ho deciso di andare a vedere questo “miracolo” della natura. Siamo all’inizio di gennaio e, in questi giorni, la Serbia è completamente avvolta da una fitta oscura e misteriosa nebbia. Il giorno 6 decido di intraprendere il viaggio speranzoso di poter trovare i gufi ed assistere a questa incredibile magia.
Il viaggio è reso molto complicato dalla fittissima nebbia ma lo spettacolo degli alberi e delle piante ghiacciate ai bordi delle strade è davvero incantevole. Dopo oltre due ore alla guida della mia auto, utilizzando tutta la concentrazione possibile che si richiede data la scarsissima visibilità della giornata, varco la linea delimitata dalla scritta “Dobrodošli u Kikindu”, benvenuti a Kikinda.
Poco più avanti, una statua in terracotta realizzata dallo scultore locale Jovan Blat, rappresentante proprio un gufo, annuncia l’ormai imminente arrivo nella zona centrale della piccola cittadina serba. Trovato un luogo dove parcheggiare l’auto e, vestito delle maglie e delle calze più calde, non mi resta che avventurarmi alla ricerca dei “gufi di Kikinda”. Mi avvio lungo una strada che sembra condurre nel cuore di questo luogo apparentemente ameno, seppur antropizzato e colonizzato dalla specie umana.
Mentre cammino con gli scarponi ai piedi, la giornata umida e fredda penetra fin dentro le ossa, con lo zaino pesantissimo in spalla, il binocolo attorno al collo e con il treppiedi in mano mi chiedo dove potrò mai trovare queste creature “magiche” presenti anche nella saga “Harry Potter”. Ascolto, affascinato da una lingua a dir poco “complicata”, le poche persone che dialogano passeggiando, visibilmente infreddolite.
La via centrale è estremamente graziosa e mi saltano subito agli occhi le piccole torrette, che sembrano dei campanili, che fanno da cornice al piccolo centro storico. Inizio a gironzolare con la testa all’insù cercando di scorgere qualche traccia degli “Asio Otus”. Ad un certo punto intravedo qualcosa sui rami di una betulla, così mi avvicino per osservare meglio. Si si sono proprio loro.
L’albero è cosparso da decine di gufi. Appoggio il treppiedi a terra, mi sfilo lo zaino e mi organizzo per tentare qualche scatto. I rami fitti fitti rendono estremamente complicato cercare delle inquadrature pulite ed interessanti ma camminando avanti e indietro per la deserta piazzetta inizio a fotografare questo splendido fenomeno.
Gli uccelli si vedono assolutamente immobili, ora su una betulla completamente spoglia, ora su di un gigantesco albero dove l’intreccio dei rami crea un riparo perfetto dalla luce del giorno. I più timidi si nascondono fra le fronde dei grandi pini che li nascondono completamente dagli occhi umani.
Con un po’ di attenzione, osservando bene alla base degli alberi, si può notare la borra espulsa una volta terminato il pasto ad indicare che molto probabilmente, anche se non si fanno vedere, i rami dell’abete sovrastante la zona cosparsa di borra sono abitati da decine di gufi e gufetti che durante il giorno riposano immobili con i loro occhioni arancioni socchiusi.
La gente che ogni tanto mi passa accanto, vedendomi fotografare, alza a sua volta la testa cercando di scorgere quali siano i soggetti dei miei scatti. Talvolta qualcuno mi dice qualcosa ma io, purtroppo, nella migliore delle situazioni, riesco ad intuire solo poche parole. Una signora, estremamente gentile, parlandomi in serbo mi fa capire che ce ne sono molti su un albero pochi metri più in la ed io la ringrazio sfoggiando il mio miglior sorriso ed uno stentato “hvala vam puno”, la ringrazio molto.
Ad un certo punto mi si avvicinano tre ragazzi che in un inglese un po’ maccheronico mi fanno qualche domanda a cui rispondo molto volentieri fino a che uno di loro mi chiede da dove vengo. Alla mia risposta: “I’m from Italy” – sono italiano – lui subito ribatte, facendomi sorridere, “God brother how are you lost here” – caspita cosa ci fai perso quaggiù.
Oramai sono qui da svariate ore e sono congelato come un ghiacciolo. Sta sopraggiungendo il crepuscolo ad avvolgere Kikinda ed i gufi, piano piano, iniziano a svegliarsi. Si scuotono, aprono le ali, si “pettinano” le piume con il loro becco. Uno alla volta iniziano ad uscire dai rami più nascosti dei pini appoggiandosi sui rami degli alberi li accanto.
Ormai è buio e qualcuno inizia a volare via alla ricerca di qualche piccola preda per potersi nutrire.
Io, come un bambino, osservo la scena con il naso all’insù sentendomi parte di questa magia unica al mondo. In alcuni anni sono stati contati oltre settecento gufi, fra i rami della cittadina serba.
Piano piano mi incammino verso l’auto per fare ritorno dove alloggio, mi attendono oltre due ore di auto e la fitta nebbia non si è ancora attenuata.
Domani in Serbia sarà Natale, il Natale Ortodosso. Il giorno della vigilia è caratterizzato da una tradizione davvero molto particolare. Molte persone accendono un fuoco dinnanzi la loro abitazione o ai bordi della strada, piazzano all’esterno, qualche metro più in la del falò, un vecchio tavolo su cui fa capolino qualche bibita, qualche bicchiere e l’immancabile “rakija” il distillato Serbo che non può assolutamente essere assente nelle circostanze che “contano”.
Lungo la strada, di tanto in tanto, scorgo alcuni di questi fuochi e le persone che, strette attorno al fuoco, chiacchierano con un bicchiere in mano in un momento di aggregazione e grande convivialità fra una stretta di mano, un brindisi ed un abbraccio.
Quindi “Srećan Božić” – Buon Natale – a tutti.